32 di 200. Lettera aperta a don Bosco.
32 di 200. Lettera aperta a don Bosco.

32 di 200. Lettera aperta a don Bosco.

imageLa realtà è che quando sei piccolo non capisci niente. Io me lo ricordo quando ero piccolina, non capivo niente. Facevo le cose che mi piacevano, giocavo con gli altri bambini e anche da sola con gli amici finti. Ma niente di memorabile mi è accaduto in quegli anni. Anzi sì! Una volta ho vinto un pallone di pallavolo a un quiz sui personaggi salesiani. E ricordo che ripassavo le risposte per la strada, mentre andavo.

Poi sono cresciuta, mi è toccato passare l’adolescenza e anche lì mica capivo niente? Niente. E pensandoci mica lo so come si fa a capire le cose mentre ci sei dentro. Probabilmente non si capisce. Però cominciavo a capire te. Cominciavo a capire che c’era qualcosa di grandioso in quello che avevi fatto è che continuavi a fare. Ricordo che una delle prime cose che pensai fu “io voglio assomigliare a quest’uomo!” Pure che io ero una donna. Volevo assomigliare a te, da donna.

Ancora non avevo capito ma tu già eri prepotentemente entrato nella mia vita e stavi lavorando. Lavoravi quando avevo mille interrogativi sulla chiesa e sulla religione e sul perché di mille divieti che non avevo alcuna voglia di sentirmi dire e tu mi davi tutti le risposte, mi mandavi gente che non mi diceva “è così” no, mi mandavi gente che mi spiegava, mi parlava, mi dava libri da leggere, mi faceva capire. E in fondo, purtroppo, io di un no secco senza spiegazioni non mi sono mai accontentata. Neanche di un sì, in verità.

Lavoravi quando il mio mondo, quello che avevo dentro e che nessuno conosceva mi stava mangiando, fagocitando, mi stava sotterrando nella sabbia, l’hai fatto venire fuori, mi hai fatto capire che dovevo essere me stessa e tirarmi fuori.

Lavoravi quando ho scelto di seguirti, quando ho scelto l’animazione, per niente concentrata su quello che dovevo essere ma troppo impegnata a cercare di non essere come chi mi aveva deluso, o non mi era piaciuto. Allora tu, senza mezzi termini mi hai buttato a terra e mi hai detto di guardarmi dentro, di abbandonare il rancore, di non pensare agli altri e di guardare a me e alla mia personale collezione di travi.

Lavoravi quando io avevo tutta una mia personale idea sulle missioni, molto negativa, e tu hai deciso di farmi cambiare idea, prendendomi e catapultandomi in un mondo e in una realtá che non conoscevo.

Lavoravi quando stavo per sbagliare tutto, per essere infelice a vita, perché non avevo capito, perché credevo che tu mi volessi in una veste diversa, e piangevo sempre, mi sentivo un fallimento, mi sembrava di deluderti. Finché tu non mi hai mandato qualcuno che mi ha fatto capire che così, tu, proprio non avresti voluto vedermi.

E poi succede così, che un giorno apparentemente come un altro, un qualunque 16 agosto, di punto in bianco ti viene in mente il sogno del pergolato di rose e capisci. Non tutto, s’intende, anche perché, caro don Bosco, quando tu hai capito tutto dopo un po’ sei morto e a me piacerebbe vivere ancora un pochino. Ma capisci.

Don Bosco, io le scarpe per camminare dietro di te sul pergolato di rose me le sono tolte da tempo e neanche per un momento me ne sono pentita. Spesso mi sono fermata a guardami i piedi, invece che guardare te, che guardare avanti. Ma subito è arrivato qualcuno a prendermi la mano e a farmi ricominciare a camminare. E ti dico una cosa, una cosa che ho capito domenica mattina, 16 agosto 2015: ho capito che io le scarpe me le toglierei altre mille volte. E non perché le rose con te non avevano spine. No. Sarebbe falso. Le rose con te hanno tante spine, ma sono anche belle fiorite. E alla fine dei conti, le spine, nel cammino senza scarpe le trovi sempre. Che siano di rose o di schegge di legno o di vetro. Che siano pietre o rovi o rametti secchi. Ma in tutti questi casi, le spine, sono solo spine. Dietro di te, sul tuo pergolato, sono piene di petali morbidi, setosi, belli. E tutti questi petali hanno nomi, sai? E li tengo tutti fissi nella memoria. Nomi di persone che hanno reso bella la mia vita e ancora la rendono tale.

Quindi, anche se quando mi sono tolta le scarpe la prima volta per venire dietro di te lo facevo solo perché in oratorio si giocava e c’erano tanti bambini e io invece ero figlia unica e a casa mia non c’erano bambini e ho vinto un pallone di pallavolo a un quiz, oggi me le tolgo ancora e ancora con cognizione di causa. Me le tolgo perché questo è il mio cammino. Perché mi sento fortunata a camminare sulle rose. Molto fortunata.

Buon compleanno don Bosco, sono molto felice che 32 di questi 200 anni tu li abbia fatti con me.

Grazie, da una delle figlie più scombinate, incasinate, complicate, che ti sei scelto.