Qualche tempo fa ci è arrivata una mail di un Animatore Salesiano “fuorisede” che ci racconta un po’ la sua esperienza. Merita davvero di essere letta, anche perché, forse forse, verso di loro facciamo ben poco nei nostri oratori
Andare a vivere lontano da casa è un’esperienza comune a molti di noi. Chi per esigenza, chi per necessità, chi per mettersi alla prova, chi cerca di realizzare e costruire un sogno… prima o poi capita di scegliere di andar via. Io personalmente sono andato a studiare fuori con la convinzione di non potermi realizzare nella mia città e quindi di non ricevere i giusti stimoli di cui avevo bisogno
Andare a vivere fuorisede vuol dire prima di tutto lasciare la propria casa, il ché comporta una marea di cambiamenti e anche una marea di difficoltà. Per noi “Animatori fuorisede” però vuol dire anche lasciare una seconda casa, l’oratorio, o almeno perdere la possibilità di viverlo quotidianamente. E bisogna essere onesti e parlarsi chiaro: ben vengano le videochiamate, i messaggi, qualche capatina durante i ponti e le festività, ma queste non sono assolutamente in grado di sostituire un luogo come l’oratorio. Quando si va a vivere fuorisede finisce una fase e ne inizia una nuova, fatta di conquiste e ma anche di rinunce. L’oratorio è fatto di animazione, di cura, di tempo, di relazioni, di preghiera… e bisogna rassegnarsi al fatto che è difficile portarsi dietro tutto ciò. Questa quotidianità viene persa e ne subentra però una nuova.
Da fuorisede veniamo travolti dalla novità dei luoghi, delle persone, delle esperienze… Questa novità non è sempre facile da digerire. Spesso è completamente distante da ciò a cui eravamo abituati, è una novità che ci destabilizza e ci contraddice ma che ci fa anche crescere. È un nuovo scenario in cui abbiamo la possibilità di chiederci e di comprendere davvero chi siamo ma in cui corriamo anche il grosso rischio di dimenticarci da dove veniamo. È una novità che non è ancora abitata da noi ma che ci chiama ad abitarla: è proprio dove dobbiamo essere.
In questo grande cambiamento abbiamo l’opportunità di comprendere fino in fondo cosa voglia dire essere animatori salesiani: dobbiamo riscoprirci, reinventarci, e nel farlo ci rendiamo conto di quanto l’oratorio è radicato in noi. Scopriamo che effettivamente non facciamo gli animatori ma lo siamo, nel nostro modo di porci, di prenderci cura dell’altro, di educare (trarre fuori il bene dagli altri). In qualsiasi luogo frequenteremo, anche se non sarà un oratorio, incontreremo delle persone e ciascuna di esse sarà un’occasione per amare come sappiamo fare.
In quanto cristiani, in quanto animatori, è nella nostra natura portare amore dove questo sembra mancare. È molto facile ed è bello donarsi laddove si vive di doni, ma è una sfida ancora più grande e più bella sapersi donare laddove non si dona nessuno. Il “carisma salesiano” è una qualità che non si esaurisce all’interno delle quattro mura dell’oratorio ma che è ancora più affascinante e potente su chi ancora non ne ha mai fatto esperienza. La preghiera poi ha come essenza il nostro rapporto intimo con Dio: mantenere aperto un continuo dialogo con Lui, soprattutto nei luoghi in cui crediamo di non incontrarlo, ci mantiene vivi e riempie di significato quei luoghi. Non dimentichiamo inoltre che la Chiesa non è fatta solo dal nostro oratorio ma da comunità sparse ovunque e sempre aperte ad accogliere e alimentare la nostra fede.
In conclusione, provando a riassumere, il consiglio più grande sull’andare a vivere fuorisede che mi sento di dare è quello di restare sempre fedeli a sé stessi: di accogliere ogni occasione di crescita e di cambiamento ma di non tradire mai i punti fermi dentro di noi solo perché il mondo fuori sembra stravolgersi.