Io sono il buon pastore. Una storia di fiducia.
Io sono il buon pastore. Una storia di fiducia.

Io sono il buon pastore. Una storia di fiducia.

4 DOMENICA DI PASQUA

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Gv 10, 11-18

‘Sta storia di aprire il vangelo e leggere sta diventando abbastanza impegnativa, eh Gesù. Anche perché, io poi mica ti capisco? Che c’entra mo il buon pastore la quarta domenica di Pasqua? Eravamo rimasti ai discepoli nel cenacolo, tu che arrivi, “Pace a voi!”, mangi, li convinci e ora che mi ero convinto pure io e appassionato alla storia, tu cambi discorso? Non si fa mica così! Vabbè, comunque, se questa è la pagina del Vangelo che mi hai dedicato questa domenica, questa leggo.

La leggo e già all’inizio, insomma, mi sembri un po’ esagerato eh… “Il buon pastore dà la propria vita per le pecore” mah, sei sicuro? Allora non ne esisto di buoni pastori, secondo me. Chi è che va a morire per delle pecore? Le pecore sono pecore, il pastore le guida, con le pecore guadagna, dalle pecore mangia, ma da qui a dare la vita… non so, eh! Tu basi tutto su di te. Tu sì che dai la vita, di te sono certo, ti ho visto, insomma, ce ne siamo accorti, ma gli altri? Gli altri non mi sembra proprio. E allora perché dici questo? Dici solo “Io sono un buon pastore, il migliore, quello che a differenza vostra dà la vita per le proprie pecore. E non le tratta solo come merce. O se anche ci fosse affezionato, se anche volesse loro bene, sicuramente non arriverebbe a dare la vita.” Dici così, è più onesto, secondo me.

Poi parli del mercenario, uno che secondo te scappa alla vista del lupo. E io continuo a non capire. Ma sì, Gesù, ma scusa, ma io non scapperei alla vista del lupo? Certo che scapperei! Quello magari sbrana anche me! Non mi considero un mercenario, non mi considero uno che specula sulla vita degli altri, ma scapperei sicuro sicuro! Oggi sai quanti lupi pericolosissimi ci sono, Gesù? Hai presente l’ISIS? Io scapperei eccome se fossi in un supermercato attaccato da loro. Se ne avessi la possibilità, me la darei a gambe levate. E’ paura, umana paura, non disinteresse. E mo io sono giovane, ma metti che io avessi moglie e figli, sarebbe più onesto secondo te fare l’eroe e cercare di salvare gli altri o sarebbe meglio essere responsabili e cercare di riportare un padre ai suoi bambini?

Una domanda, però, ora mi balena per la mente. E già lo so che mi fregherai un’altra volta. Lo so, appena sento sta domanda, lo so! Mi insinui il dubbio e mi dici: “e se i tuoi figli fossero con te, in quel supermercato?” Eccolo qua, scacco matto. Non capisco perché mi ci metto sempre a giocare con te, che alla fine vinci sempre tu! Fai sempre la mossa spiazzante.

Se fossero con me, i miei figli, io ovviamente porterei in salvo prima la loro vita e poi, forse, la mia. Ma farei di tutto per metterli in salvo. Ma anche in cose più piccole: se brucia la mia casa, faccio di tutto per salvarla, per salvare le cose a me care. Se mi vogliono scippare, io tiro con forza per evitare che lo facciano. Quello che sento mio, lo proteggo, magari mettendomi anche in pericolo, specialmente se sono legato sentimentalmente a chi è in pericolo.

Anche perché tu dici “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” e si fidano. Sì, perché altrimenti mica lo seguono il pastore, le pecore. Si studiano, pastore e pecore, all’inizio. Le pecore capiscono che il pastore quando le porta fuori lo fa per farle mangiare, per farle stare libere e all’aria aperta, lo fa per farle stare bene ma che alla fine le riporterà sempre all’ovile. Si instaura una relazione. Come facciamo noi con gli amici, con chi amiamo. E chi ci sta di fronte si fida di noi. E se noi tradiamo questa fiducia, sono guai!

Solo che, chiaramente Gesù, tu sei sicuramente un bel po’ di spanne sopra di noi, quindi non ti accontenti delle tue pecore, delle persone che ti sono vicine, che ti sono amiche, che si fidano di te perché hanno imparato a conoscerti e a volerti bene. No. Tu rendi la cosa sempre più complessa e dici “ho altre pecore, che non sono di questo recinto e mi devo occupare anche di loro, devo guidare anche loro, mi devono seguire, devono trovare in me il pastore, perché tutte abbiano un solo pastore che sono io.”

Fermi tutti! Ho capito! Sto diventando bravo in questo gioco, a poco a poco pure ti capisco! Ho capito perché oggi parliamo di questo: perché tu sei andato dai discepoli e stai cercando di convincerli ad andare a predicare il tuo vangelo, a far conoscere al mondo il loro amico Gesù, la storia di questo amico. E allora ti metti lì e spieghi loro un po’ di cose, come le spieghi a noi. E ci dici “ragazzi belli è ora che voi capiate che se volete parlare di me dovete parlare come uno che ama, punto e basta. Che ama così tanto da dare la vita. Uno di cui ci si può fidare, uno al quale dare tutta la vostra fiducia. Perché non vi venderà al lupo, anzi si batterà per farvi scudo fino a dare la vita. E dando la vita vi salverà tutti. Ecco quello che dovete dire a chi non era qui con noi e ha visto. Ecco quello che dovete dire alle terre lontane, fino ai confini del mondo. Ecco come dovete parlare. Andate, parlate, testimoniate. E fate come me. Io sono il buon pastore.”

E fate come me. E’ facile dirlo, eh… ma mo te l’ho detto: sei un bel po’ di spanne sopra di noi, come facciamo a fare come te? Noi non riusciamo a perdere la vita, non riusciamo, ne siamo troppo attaccati. Io almeno, non riesco. Non voglio perderla. Perché devo?

E anche qui mi dai la risposta. Continuo a leggere e la trovo: perché non la perdo ma in verità me la riprendo. Se amo fino a dare la vita è così che mi sto prendendo la vita, è così che la sto prendendo in mano e facendo grande.

Questo è lo schema vincente, la tua tattica, la tua strategia, quella che ti fa fare sempre scacco matto.

E allora, Gesù, visto che anche oggi chiudo il vangelo e sorrido, e mi sento più sereno perché so a chi ho dato la mia fiducia, tu continua a ripetermi le stesse cose. Ancora e ancora. E quando mi vedrai attaccato alle cose della mia vita per puro egoismo, pronto a scappare, senza niente e nessuno da difendere, ricordami che l’unico modo per vivere bene la mia vita, per essere felice, per farla grande, è perderla. E’ salvare chi si fida di me, custodire chi si fida di me, proteggere chi si fida di me. Perché una vita spesa per gli altri è la migliore che posso immaginare.