Ma davvero si può evangelizzare sui social?!
Ma davvero si può evangelizzare sui social?!

Ma davvero si può evangelizzare sui social?!

Ultimamente ci è capitato di leggere un articolo molto interessante dal titolo “La fine dei social network” tradotto in italiano dalla rivista “Internazionale”. L’autore analizza la trasformazione dei social network, che in poco tempo e in maniera quasi impercettibile sono diventati dei veri e propri mezzi di comunicazione di massa, dei social media per l’appunto.

In un modo o nell’altro, la questione ci tocca e ci ha fatto riflettere. Sono diversi anni, infatti, che come Animatori Salesiani utilizziamo questi strumenti e quindi è stato piuttosto automatico porci alcuni interrogativi alla luce di quanto proposto nell’articolo. Sostanzialmente ci siamo chiesti: ma perché ci stiamo e continuiamo a starci? Ma soprattutto, è davvero possibile evangelizzare sui social?

Il fatto è che da quando abbiamo creato la pagina Facebook (2014) le cose sono piuttosto cambiate, e l’articolo descrive abbastanza bene questo cambiamento. I social, dall’essere network, cioè dall’essere strumenti che mettono in relazione le persone, sono diventati principalmente dei media, ovvero strumenti attraverso i quali fruire contenuti di vario tipo. Probabilmente per questo Facebook ormai è in pasto ai boomer, youtube è meglio della tv, e Instagram e TikTok sono pieni di creators e influencers che magnano, fanno vedere i “tre posti più belli delle città” che però conoscono solo loro, o hanno i miglior consigli su come diventare ricchi, etc. In tutto questo quindi: è possibile evangelizzare? 

Prima di continuare una precisazione: prendente queste righe come un spunto per una riflessione, sarebbe bello infatti confrontarsi insieme sul tema per conoscere buone pratiche e per sapere cosa ne pensate

 

Cos’è l’evangelizzazione?

Comunque, per provare a capire se davvero è possibile l’evangelizzazione sui social è importante domandarsi prima di tutto: ma che cos’è l’evangelizzazione?! Bella domanda… Il fatto è che si potrebbe stare qui ore e ore a parlarne. Fondamentalmente però, evangelizzare significa annunciare Gesù, ma non semplicemente dicendo che era un buon uomo, che amava tutti e faceva cose belle, ma testimoniando con la vita che quel Gesù di Nazaret, vissuto un bel po’ di tempo fa in Palestina e che è stato crocifisso è Risorto, ha vinto la morte e ha salvato il mondo! È lui il Cristo, il Signore, il figlio di Dio, il Messia… in una parola, è Dio! Insomma, si tratta di annunciare il Vangelo, il cui nucleo essenziale è la passione, morte e Resurrezione di Gesù Cristo, e quindi la salvezza dell’uomo e la vittoria sul peccato.

Un po’ come fa Pietro negli Atti degli Apostoli:

«Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni […] Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» At 2, 32; 36

(Sì, quello stesso Pietro che lascia solo Gesù e lo rinnega. Quello stesso Pietro che ne combina una dopo l’altra nei Vangeli. Quello stesso Pietro… perché tutti sono chiamati ad annunciare l’Amore di Dio, anzi forse stesso lui è davvero in grado di testimoniare cosa significhi la misericordia)

O come fanno nel Vangelo i discepoli:

«Convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi» Luca 9, 1-2

Perché quindi riflettere sull’evangelizzazione attraverso i social media?

In tutto questo uno degli elementi fondamentali dell’evangelizzazione è la relazione. Cioè l’annuncio del Vangelo avviene all’interno di una relazione e attraverso un sistema di relazioni, ovvero la comunità.

In effetti è abbastanza semplice ed intuitiva la cosa. Per dire qualcosa a qualcuno è necessario che ci sia quel qualcuno. Uno che comunica e l’altro che ascolta. Fin qui quindi non ci sarebbe nessun problema, basta fruire contenuti e il gioco è fatto, no? Cioè basta fare un bel post, un reel che sia virale, un po’ di storie, video e così via…

In realtà la cosa è molto più profonda ed articolata. Innanzitutto, perché non si tratta solo della comunicazione di un messaggio ma come quel messaggio viene comunicato. Cioè, i contenuti stessi da fruire devono essere di qualità, e in un certo qual modo devono anche far sì che facciano breccia tra i tantissimi contenuti che vengono prodotti. Però non è solo questo. C’è da considerare infatti che nel nostro caso il messaggio di cui stiamo parlando è un po’ atipico perché non si tratta semplicemente di una serie di informazioni, ma di una persona vera e propria: Gesù Cristo. D’altronde in Cristo il messaggio, il contenuto, e il messaggero coincidono. Gesù annuncia il Vangelo e il Regno di Dio, ma lo stesso Gesù è il Vangelo e il Regno di Dio.

 

E quindi la relazione che c’entra?

E poi c’è la questione delle relazioni da tenere in considerazione. Proviamo quindi ad approfondirle a fare un po’ di ordine.

Innanzitutto, c’è la relazione con il Signore. Perché non si può far conoscere qualcuno se noi per primi non lo conosciamo. Non possiamo parlare di un amico se non sappiamo chi sia, se non lo abbiamo mai incontrato o se comunque non lo frequentiamo. Per quanto riguarda l’annuncio del Vangelo avviene più o meno la stessa cosa. Come si fa a dire, a parlare e a vivere del Signore e di Dio se appunto non lo si conosce, non si fa esperienza di Lui? E non si tratta solo di dire cose giuste, belle, studiate e vere, ma di testimoniarle con la vita, cioè affermare con la vita che Gesù è il Signore, che il Vangelo è davvero buona notizia, che davvero sappiamo che è lì la salvezza.

L’evangelizzazione, infatti, coincide semplicemente con la nostra vita, con i nostri comportamenti, i nostri atteggiamenti, il nostro modo di amare. É semplicemente la conseguenza della relazione d’amore che viviamo con Dio. Perché se il messaggio e il messaggero coincidono in Gesù allora l’annuncio del Vangelo coincide con l’amare, attraverso gesti concreti e il dono della vita. Curare la relazione con il Signore significa imparare ad amare come Lui, assumere i Suoi atteggiamenti e comportamenti, sentimenti ed emozioni per far sì che la nostra vita sia sempre più aderente al Vangelo così che la gente possa vedere la verità e l’autenticità di ciò che vogliamo comunicare. San Paolo, l’apostolo, il missionario, l’evangelizzatore con la A, la M e la E maiuscole, dice:

“Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me. Dunque, non rendo vana la grazia di Dio” Galati 2, 20-21

(Non rendere vana la Grazia di Dio significa anche lasciarla fluire attraverso di noi comunicandola agli altri, po’ come i vasi comunicanti. Vivere nella fede del Figlio è riconoscerci figli e riconoscerci figli significa assumere i tratti somatici del Padre)

Altre due cose da sottolineare:

  1. Come evangelizzatori siamo inviati. É il Signore che manda ad evangelizzare e che ti dice: “Oh, bello e vai un po’ a dire a quel ragazzo che è amato, su!” Quindi… c’è da togliere un po’ il cerume dalle orecchie e metterci in ascolto, e quindi pregare.
  2. Una cosa è lo zelo apostolico, un’altra cosa sono l’attivismo e l’ansia. Cosa significa? Significa che possiamo comunicare la salvezza solo se ci sentiamo salvati. Conoscere di essere salvati e amati fa crescere in noi desiderio ardente di partecipare e di collaborare alla salvezza degli altri (e di tutti!) con la consapevolezza che è il Signore che salva e non noi. Questo è lo zelo apostolico, questo è il “da mihi animas”. Al contrario, l’attivismo e l’ansia sono la conseguenza del credere che tutto dipenda da noi, che siamo noi gli autori della salvezza. In questo modo però diventiamo selettivi, poco creativi, agitati e frustrati davanti al fallimento. Lo zelo si alimenta con la vita interiore, l’attivismo con la superficialità. Lo zelo fondamentalmente è quella voglia di stare in mezzo i ragazzi, di sentire scottare la sedia sulla quale stiamo mentre stiamo programmando o ci stiamo formando e al tempo stesso comprendere che è fondamentale quanto si sta facendo.

Seconda relazione: la comunità. Più che altro è un insieme di relazioni che appella alla relazione che ciascuno ha con l’altro e con la comunità intera intesa come soggetto delle relazioni.

Per noi questo sistema di relazioni si chiama CEP (comunità educativo pastorale), e cioè tutti i membri della casa salesiana. Perché importante per l’evangelizzazione questo insieme di relazioni? Ci sarebbe da dire un sacco di cose ma già ci siamo dilungati tanto. La diciamo brevemente con la prima lettera di San Giovanni:

«Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi”» 1 Gv 4, 11-12

Che significa? Semplicemente che amandoci vicendevolmente Dio abita le nostre relazioni e queste stesse relazioni diventano evangelizzatrici. Sappiamo quanto per noi è fondamentale che nelle nostre case si respiri il clima dell’amorevolezza e della familiarità.

Tutto ciò significa che prima di pensare alle migliori dinamiche da realizzare, le migliori programmazioni da fare, le grandi attività, campo, estate ragazzi e quant’altro, c’è da curare le relazioni, c’è da volersi bene tra animatori per accompagnare i ragazzi all’incontro con il Signore.  

Infine c’è la relazione con l’altro inteso come compagno di classe, collega, amico, passante. L’altro inteso come qualsiasi uomo o donna che si incontra, qualsiasi ragazzo, giovane. L’altro inteso come «un uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico» e verso il quale agire come Samaritani per vivere del comandamento dell’Amore. Vivere cioè con un sano istinto evangelico attraverso il quale lasciare agire il Signore e farlo conoscere. Inoltre, questo atteggiamento diventa fondamentale per testimoniare la verità e l’autenticità di quanto comunichiamo. Dei discorsi che possiamo fare con i compagni di classe sul nostro essere cristiani, sulla fede, sull’oratorio ecc… Così come gli scandali allontanano, la vita autentica avvicina e ci rende interlocutori autorevoli e stimati. San Francesco d’Assisi diceva:

«Predicate sempre il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole»

 

Ma quindi, è possibile evangelizzare sui social media?

L’articolo in teoria era incentrato proprio su questa questione, poi però ci siamo lasciati prendere un po’ la mano. Ovviamente però non si poteva proseguire senza chiarire cosa si intende per evangelizzazione. In realtà ci sarebbe anche da approfondire un po’ il ruolo e la natura dei social media però poi davvero ci sarebbe da fare come il Signore nel Vangelo di Giovanni e dire: «Volete andarvene anche voi?» (voi coraggiosi che siete arrivati fino in fono all’articolo).

Per questo ci limiteremo a ricordare quanto detto all’inizio a riguardo dell’evoluzione dei social netowrk in social media e a tutto ciò di cui possiamo renderci conto semplicemente stando un po’ su Instagram e TikTok. La domanda principale è la seguente: è possibile annunciare il Vangelo in un ambiente relazionale diciamo “debole” e in cui i creators comunicano quasi esclusivamente univocamente?

Senza avere la presunzione di essere evangelizzatori pensiamo di sì. Don Bosco stesso fu editore, scrittore e pubblicista. Per non parlare poi di San Francesco di Sales patrono non solo nostro ma anche dei giornalisti. Comunque, c’è da fare alcune precisazioni, e lo giuriamo, abbiamo quasi finito.

Però bisogna fare alcune precisazioni, e lo giuriamo, abbiamo quasi finito.

  1. Ci sono vari livelli di evangelizzazione: comunicare il Vangelo sui social ne può essere uno però va considerato come un primo livello o approccio, e certamente non ci si può limitare a questo.
  2. Di conseguenza è sempre necessario rimandare alla quotidianità e ad altri luoghi e presenze. Non dal virtuale al reale, perché tutto è reale, ma dalla relazione social alle relazioni quotidiane caratterizzate dal contatto fisico e presenziale.

2bis: In realtà non c’è distinzione tra i vari luoghi, tra Instagram e la “vita reale”, come non dovrebbe esserci tra oratorio e fuori-oratorio. Siamo sempre gli stessi, sui social, in oratorio, in strada, a scuola ecc… Detto ora sinceramente, a volte anche noi proviamo ad inviare richieste su Instagram per provare ad allargare un po’ la rete di relazioni e a volte, anzi spesso, si può vedere chiaramente chi è oratoriano. (Loro l’hanno spiegato molto bene à qui)

  1. Recuperare la dimensione relazionale dei social. Cioè non limitarci ad essere solo fruitori di contenuti, di formazione e quant’altro ma creare community. In questo servizio ci mettiamo tutti in gioco. Per questo vi invitiamo a condividere, interagire, partecipare, non  semplicemente per aumentare l’engagment ma per creare community e presenza salesiana sui social.
  2. Evangelizzare i social significa essere presenti riconoscendo il valore e le positività del mezzo e del luogo e quindi favorendo la diffusione dei nostri contenuti, condividendo e diffondendo la bellezza della vita oratoriana e cristiana. É tipicamente salesiano riconoscere i valori della cultura e del mondo, trovando lì tracce della presenza di Dio.
  3. Evangelizzare i social significa anche considerarne le criticità. L’evangelizzazione ha anche un aspetto apologetico, cioè di difesa dei contenuti della fede. (Lui lo fa molto bene à qui) In questo caso però c’è da stare davvero molto attenti perché quando si scrive di alcuni temi c’è da ricordare chi siamo e in un certo modo chi e cosa rappresentiamo. Possiamo fare molto bene ma anche molti danni. Quindi, formati, informati e ricorda che non devi sempre dire la tua; se hai da commentare su un tema delicato, pensa, rifletti e magari chiedi consiglio.
  4. Attenzione però, c’è da condividere utilizzando i linguaggi social (molte cose davvero non si possono vedere, abbiamo tutti in mente i post della zia o dello zio su Facebook… stanno arrivando anche su Instagram! Aiuto!) Nemmeno però come questo articolo che è troppo lungo! Al tempo stesso però c’è anche da non banalizzare e ridicolizzare il messaggio. Non offriamo vino annacquato ma cose di qualità.

6bis. evangelizzare significa anche essere gratuiti, ovvero farlo senza interesse personale. Siamo chiamati a seminare, è il Signore poi che farà crescere. Certo i like e i follower sono anche indicatori di quanti hanno ricevuto e apprezzato il messaggio, ma non ti stressare per questi e soprattutto non avere paura dei fallimenti, ricordati di San Paolo nell’Areopago di Atene: “Appena sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni dei presenti cominciarono a deridere Paolo. Altri invece dissero: ‘Su questo punto ti sentiremo un’altra volta” At 17, 32

Questa volta è vero, abbiamo finito

Infine, negli Atti degli Apostoli ad un certo punto Pietro e Giovanni vengono messi in prigione perché stavano annunciando il Vangelo (annunciare il Vangelo significa essere controcorrente!). Quando vengono interrogati Giovanni dice:

«Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» At 4, 21

E poi sempre Giovanni in una lettera scrive:

«Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna» 1 Gv, 1-2

Cosa significa tutto questo? Semplicemente che l’essere innamorati di Cristo come il “discepolo amato” ci porta automaticamente a dire a tutti quanto è bello essere Suoi amici, quanto è bello vivere il Vangelo. Dirlo con la vita significa dirlo con tutto noi stessi, con tutte le cose che facciamo, anche quindi attraverso l’utilizzo dei social, testimoniando e annunciando la bellezza della vita cristiana e quindi invitando tutti a farne esperienza