Terzo giorno del triduo a Domenico Savio: Don Bosco guida spirituale di Domenico!
Terzo giorno del triduo a Domenico Savio: Don Bosco guida spirituale di Domenico!

Terzo giorno del triduo a Domenico Savio: Don Bosco guida spirituale di Domenico!

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Domenico Savio è diventato santo per tre fattori:

  • la Grazia di Dio che gli ha concesso doni straordinari (e la Grazia è un dono fatto ad ognuno di noi!).
  • La sua forza di volontà e di obbedienza.
  • L’accompagnamento spirituale con don Bosco.

Se togli uno di questi tre, cade la bellissima cattedrale della Santità di Domenico. A noi, animatori salesiani, interessa il terzo punto.

Come don Bosco ha accompagnato come guida e padre spirituale Domenico?

La vita di Domenico Savio è conosciuta a memoria da molti di noi. Ma abbiamo mai fatto caso al modo in cui don Bosco ha fatto crescere nel rapporto personale il piccolo gigante? In modo schematico…

  • conoscenza personale e profonda: dialogo iniziale ai Becchi, secondo dialogo a Valdocco
  • accompagnamento dell’ambiente: Domenico inserito in oratorio 24 ore su 24 per poter crescere in un ambiente educativo a 360 gradi (dialogo con il padre ai Becchi…)
  • proposta esplicita di accompagnamento personalizzato e richiesta di docilità: io sarò la stoffa, lei sia il sarto! La guida spirituale taglia, cuce, progetta… l’accompagnato si rende disponibile, come stoffa!
  • dialogo personale profondo: lettera di Domenico al padre “oggi ho potuto parlare personalmente con don Bosco per due ore
  • chiaro progetto di vita: dopo la buonanotte di don Bosco sulla santità, “Don Bosco, mi aiuti a farmi santo”
  • maturazione nel servizio: “quando entrava un nuovo scapestrato in Oratorio, don Bosco gli metteva accanto Domenico Savio che se lo sarebbe sicuramente fatto amico”; assistenza ai colerosi nel 1854.
  • sviluppo di amicizie spirituali fra compagni e dimensione dell’accompagnamento di gruppo: la Compagnia dell’Immacolata.
  • accompagnamento nelle cose concrete, adeguandosi alla sua età: divieto di sacrifici ascetici eccessivi, ricetta della santità (data personalmente a Domenico), …
  • affetto casto e profondo: Don Bosco piangeva spesso pensando a Domenico Savio, anche dopo molti anni dalla sua morte.
  • contemplazione dell’azione della Grazia nella vita del ragazzo: Don Bosco aveva chiaro che il Signore agiva in Domenico in modo straordinario, lui è stato eccezionale nel vedere come Dio agiva, nel proteggere il ragazzo (episodio dell’estasi… Don Bosco copre il fatto).
  • fiducia nel percorso personale del ragazzo: quando Domenico porta don Bosco dal moribondo, don Bosco non lo prende per matto ma lo segue, per vedere dove quel ragazzino veramente lo avrebbe condotto.

Ci sono tutti gli elementi di un vero e proprio accompagnamento spirituale! e don Bosco ha dato il meglio di sè in questa speciale relazione educativa… che avrebbe mandato facilmente in crisi chiunque si fosse trovato fra le mani un diamante così prezioso e misterioso come Domenico!

Vi proponiamo un’interessante lettura pedagogica e spirituale del rapporto fra Domenico e don Bosco, scritto da don Carlo Nanni, già Rettore dell’Università Salesiana.

arazzo per la Canonizzazione in Vaticano 1954

L’amore educativo

Don Bosco instaurò con Domenico Savio una relazione calda e profonda, segnata ed espressa in forte amore educativo.

Fin dal primo incontro, don Bosco scrive: «Messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di vita fino allora praticato, siamo tosto entrati in piena confidenza egli con me, io con lui» (Vita, 7, p. 28). E quando deve rimandarlo a casa per il grave deterioramento delle sue condizioni di salute, di fronte al rincrescimento di Domenico candidamente afferma: «Io debbo dirlo; il rincrescimento era reciproco: io l’avrei tenuto in questa casa a qualunque costo, il mio affetto per lui era quello di un padre verso un figliolo il più degno di affezione». E nel narrare l’addio di Domenico Savio all’Oratorio, arriva a scrivere che Domenico Savio «mi teneva tuttora stretta la mano» e che si rivolse a lui con: «Sì, mio figlio»; e confessa che «sebbene quegli insoliti saluti ci avessero posti in afflizione, avevamo però la speranza di rivederlo presto a ritornare fra noi» (Vita, 23, pp. 105-107).

Questi accenni mi sembrano particolarmente interessanti perché evidenziano la centralità che don Bosco, almeno stando alla Vita, assegnava alla relazione educativa in vista dell’educazione dei giovani: di tutti, ma specie di coloro che mostravano di essere a livelli di dotazioni eccellenti.

 

L’atteggiamento di base dell’educatore e il dialogo con l’educando

Lo scritto di don Bosco evidenzia anche un suo modo particolare di porsi come educatore, che mi sembra particolarmente significativo.

In prima battuta, infatti, egli misura il rapporto educativo interpersonale non sulle proprie posizioni, ma sul giovane che si trova di fronte. È, del resto, già il fascino dell’incontrarsi con i giovani che nel Giovane provveduto fa dire a don Bosco «basta che siate giovani perché vi ami assai»; o gli fa dire, di fronte allo spettacolo dei giovani del carcere minorile: «se avessero un amico fuori!»; o lo fa arrivare a credere che «anche nel ragazzo anche il più disgraziato c’è un punto accessibile al bene».8 Il naturale «eros educativo», la naturale attrazione si combina con l’affetto, l’intenzione di bene, l’agape religiosa e cristiana. L’eccellenza di Domenico Savio porta al più alto livello questo tratto di fondo del rapporto educativo di don Bosco con tutti i giovani.

La stessa dimensione emotiva, peraltro, viene pedagogicamente intenzionata e attivata come via per «guadagnarsi il cuore» del ragazzo,9 ed è preceduta dalla pratica dell’avvicinamento e del dialogo. Il racconto del primo incontro tra don Bosco e Domenico Savio è pieno di domande e di franche e amorevoli risposte, che portano alla reciproca confidenza, e permettono di arrivare ben presto a un livello di relazione interpersonale profonda, ma anche al livello della richiesta e della proposta, stimolando il giovane a manifestarsi e a sentirsi parte attiva nell’attuazione dell’intenzionalità educativa ricercata: «Dopo un ragionamento alquanto prolungato, prima che io chiamassi il padre, mi disse queste precise parole: ebbene che gliele pare? Mi condurrà a Torino per istudiare?» E al timore che don Bosco gli manifesta, cioè che la sua «gracilità non regga per lo studio», il ragazzo controbatte coraggiosamente: «Non tema questo; quel Signore che mi ha dato finora sanità e grazia, mi aiuterà anche per l’avvenire» (Vita, 7, p. 28).

Il dialogo permetteva a don Bosco educatore di capire il giovane, di conoscere preventivamente i suoi reali bisogni educativi (non sempre intuibili o comprensibili anticipatamente), e in tal modo di calibrare l’intervento educativo e la sua stessa autorevolezza. Si legga il capitolo decimo, quando Domenico Savio ha ormai preso la decisione di farsi santo ed entra in momentanea crisi. Don Bosco attesta candidamente di non aver compreso il momento che il suo giovane allievo stava attraversando: «Giudicando che ciò provenisse da novello incomodo di sanità, gli chiesi se pativa qualche male. Anzi, mi rispose, patisco qualche bene» (Vita, 10, p. 41).

 

Con un’autorevolezza educativa che arriva ad assumere le forme di direzione spirituale

A sua volta, il dialogo aperto e amorevole non solo modula gli interventi

educativi normali, ma in qualche modo arriva anche ai livelli di guida e di direzione spirituale.

Sempre nel capitolo decimo, a Domenico Savio che domanda: «mi dica dun-que come debbo regolarmi per cominciare l’impresa», don Bosco replica lodando il proposito, esortandolo a non inquietarsi, richiedendogli per prima cosa una costante e moderata allegria, consigliandolo di essere perseverante nell’adempimento dei doveri di pietà e studio, non mancando di prendere sempre parte alla ricreazione coi suoi compagni (Vita, 10, p. 41).

E nel corso dell’evoluzione spirituale del suo straordinario allievo, interviene più direttivamente, per portare pace e serenità o evitare esagerazioni, stranezze e storture. Nella linea dei santi a lui più cari, quali san Filippo Neri e san Francesco di Sales, don Bosco mostra di non volere l’esasperazione spirituale del suo fervente discepolo (e di ogni altro suo discepolo). Si pensi all’intervento contro la sua «smania di volersi far santo», di «voler fare rigide penitenze» o di «passar di lunghe ore in preghiera, le quali cose erangli dal Direttore proibite, perché non compatibili colla sua età e sanità e colle sue occupazioni» (Vita, 10, p. 42), precisando che «la penitenza, che il Signore vuole da te […] è l’obbedienza. Ubbidisci, e a te basta» (Vita, 15, p. 65). La spinta impulsiva spirituale viene indirizzata verso l’adoperarsi per «guadagnar anime a Dio», «cooperare al bene delle anime, per la cui salvezza Gesù Cristo sparse fin l’ultima goccia del prezioso suo sangue» (Vita, 11, p. 43).

Tuttavia, bisogna dire che don Bosco, di fronte alle «grazie speciali e ai fatti particolari» di cui Domenico Savio mostra di essere oggetto e attore, comprende che non gli resta che prenderne atto e di non poter fare altro che proteggerlo: come quando Domenico Savio «mancò dalla colazione, dalla scuola, e dal medesimo pranzo», e a lui «nacque il sospetto […] che fosse in chiesa, siccome già altre volte era accaduto». Trovatolo in estasi, «il Direttore lo mandò a pranzo, dicendogli: se taluno ti dirà: onde vieni? Risponderai, che vieni dall’eseguire un mio comando. Fu detto questo per evitare le domande inopportune, che forse i compagni avrebbero fatto» (Vita, 20, pp. 93-94).

 

Nella reciprocità relazionale e nella promozione dell’autonomia

Dalla Vita e dalle testimonianze su Domenico Savio, appare che la relazione educativa tra don Bosco e i suoi allievi migliori arrivava a vere forme di reciprocità e di stimolazione all’autonomia e alla libera iniziativa. Penso all’episodio del protestante moribondo, riportato nella Vita al cap. 20, p. 95: «Un giorno entrò nella mia camera dicendo: Presto, venga con me, c’è una bell’opera da fare. Dove vuoi condurmi? Gli chiesi. Faccia presto, soggiunse, faccia presto. Io esitava tuttora, ma istando egli, ed avendo già provato altre volte l’importanza di questi inviti, accondiscesi». Nel processo di canonizzazione è raccolta la testimonianza della sorella, che conobbe e parlò molte volte con don Bosco, secondo cui

Don Bosco faceva gran conto dell’assennatezza e criterio di mio fratello; tanto è vero che, come don Bosco stesso mi narrava, in qualche speciale e importante circostanza si rivolgeva a lui, sebbene ancora così giovanetto, per averne il parere. E quando don Bosco mi diceva questo, soggiungeva: Non ti spiego le cose intorno alle quali io l’interrogava, perché tanto tu non le potresti comprendere. E tutte le volte — conchiudeva — non si era mai sbagliato nel seguire i suoi suggerimenti. (Summarium, 1926, p. 246)

A sua volta, don Giovanni Battista Francesia, uno dei primi chierici che seguì don Bosco e che fu insegnante e «assistente» (vale a dire una sorta di figura educativa che viveva a contatto diretto con i giovani nel tempo extra-scolastico del collegio), testimoniò a proposito di Domenico Savio:

Un giorno mi trovai per caso vicino a don Bosco che parlava con il giovanetto Domenico Savio. Io mi stupii nel vedere lui, che pensavo fosse timido, parlare mettendo le mani ai fianchi, e dire a don Bosco con aria tutta seria: Queste cose non si devono

tollerare all’Oratorio. Don Bosco disse: Guarda, faremo, abbi pazienza. E Domenico, insistendo, replicava: È uno scandalo, e non si può tollerare. Era la prima volta che io sentivo quel giovanetto parlare quasi con autorità con don Bosco. (Ibidem, p. 158)

 

Nell’orizzonte della corresponsabilità educativa per il bene

Don Bosco, peraltro, non limita la relazione interpersonale e la direzione spirituale. La relazione educativa non si riduce al calore e alla conoscenza reciproca, e neppure a un suo positivo e sano sviluppo, in funzione della crescita e della piena realizzazione umana degli allievi. Essa è vissuta, aperta e proiettata nell’orizzonte intenzionale valoriale, «oggettivo» e finalistico, che regge tutta la sua azione educativa: il da mihi animas, la salvezza delle anime. La relazione educativa diventa per lui coinvolgimento dei giovani, chiamata di responsabilità nella compartecipazione alla «causa educativa» dell’Oratorio.

La Vita mostra che Domenico Savio e i suoi amici — con alcuni dei quali fondò la Compagnia dell’Immacolata — si sentono corresponsabili del buon andamento dell’Oratorio, aiutando il direttore e i suoi collaboratori (il gruppo dei giovani chierici che dopo il 1854 si associarono a don Bosco nell’opera dell’Oratorio, primo nucleo di quello che nel 1859 segnerà l’inizio della congregazione salesiana). Egli non solo andò ad assistere gli appestati, ma nella quotidianità trovò mille modi di porre in atto «la solita industriosa sua carità» (Vita, 17, p. 72).

La vita e la relazione educativa di Domenico Savio con don Bosco si trovano immerse e si alimentano nell’esistenza di tanti altri giovani e nella vita dell’Oratorio nel suo insieme. I giovani, oltre a esserne i destinatari, sono anche personaggi nel racconto della Vita, talora protagonisti, non hanno solo una funzione «di spalla» nello scenario in cui Domenico viene fatto muovere e viene rievocato.

Domenico Savio, prima e dopo il suo ingresso all’Oratorio, è circondato da ragazzi bravi e da discoli, nei confronti dei quali si esplica la sua piacevolezza relazionale e gran parte del suo «zelo per la salute delle anime», poiché talvolta diventano «clienti» del suo servizio caritativo (Vita, 11-12, pp. 43-54), oppure collaborano alla sua azione apostolica ed evangelizzatrice, che lo porta a sognare di diventare missionario in Inghilterra (Vita, 11, p. 45).

I ragazzi sono quelli con cui Domenico Savio intrattiene una profonda amicizia, in particolare Camillo Gavio e Giovanni Massaglia (Vita, 18-19, pp. 79-93); ragazzi, infine, sono gli amici con cui fonda la Compagnia dell’Immacolata (Vita, 12, pp. 72-78), un’associazione formativo-religiosa interna che doveva essere «cosa dei giovani» e che, fino a epoca conciliare, nelle case-collegio e negli oratori salesiani svolgerà una funzione analoga all’Azione Cattolica. Nella fondazione e nella codificazione del regolamento della Compagnia si nota una feconda relazione tra i giovani e il Direttore don Bosco, che legge e approva (Vita, 18, p. 78).

Domenico Savio anima la vita dell’Oratorio con i suoi amici e collabora con i suoi educatori in una grande consonanza ideale e operativa.