Beati e sereni per l’eternità: una bella promessa.
Beati e sereni per l’eternità: una bella promessa.

Beati e sereni per l’eternità: una bella promessa.

sereni

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli»

(Mt 5, 1-12)

Eh, beato te!

Quante volte ho detto questa frase e, se ci penso, la maggior parte delle volte non l’ho detta proprio in maniera positiva. C’era sempre dietro un “invece io…”: beato te che puoi fare questo, mentre io… beato te che puoi far quello, invece io… Nessuna gioia, in verità. Forse invidia. E può mai essere, Gesù, che tu ti metti là e mi dici come essere invidioso della gente? Come parlare con una certa invidia degli altri? No, non può essere. Piuttosto, magari, vuoi insegnarmi a usare bene questa espressione, ormai diventata un modo di dire.

In effetti, rileggendo bene le tue parole, c’è poco da invidiare considerando quello che dici:

  • Beati quelli che sono nel pianto… sai che invidia!
  • Beati i perseguitati… quante volte ho sognato di essere un perseguitato…
  • Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno… ok, ho capito.

Non c’è niente da invidiare. Però, Gesù, non capisco neanche cosa c’è da essere “beati”! Ma poi, beato, cosa vuol dire?

La prima cosa che mi viene in mente pensando ad un beato è il santino, il gradino prima della santità, quando sei buono e bravo ma non tanto da essere santo, quando ti manca quel pochino per entrare nell’olimpo. Cerco di far combaciare questa idea con le tue parole e mmmm mi sa che non ci sta.

La seconda cosa che mi viene in mente pensando ad un beato è un bambino di quelli piccoli piccoli, appena nati, che se ne sta lì, in braccio a sua madre, e dorme, appunto, beato. Il ritratto della serenità. Quello al quale diresti proprio “beato te!”. Ecco, cerco di far combaciare questa immagine con le tue parole e forse sto giro mi torna un po’ di più.

I poveri in spirito, i semplici, quelli che non si complicano la vita con cose strane e che non rendono difficile le cose con dinamiche del tutto umane. Quelli dalle relazioni semplici, dal bene e basta, quelli facili da prendere che sono lontani anni luce da me. Ecco, quelli io me li immagino sereni, con la testa sul petto della madre e un sorrisetto di felicità.

I miti (no, non i mitici, ma quelli calmi), quelli che non perdono mai la pazienza, che sono tranquilli. Anche loro me li immagino sereni come dei neonati.

I misericordiosi, i puri di cuori, gli operatori di pace… sono tutti sereni.

E sono sereni perché vivono nel bene. Ed è il bene che fa stare bene, è l’amore che guarisce tutto. Perché chi ama veramente di solito sta bene. No, non è una cosa catechistica questa. È una cosa che penso veramente, da tempo. E ne ho le prove: tutte le volte che penso, ripenso, faccio, rifaccio, mi complico la vita, cerco delle soluzioni, mi arrabbio, prendo male le parole degli altri, vedo il marcio in chi mi sta intorno, non faccio nulla per fermare il rancore, anzi lo alimento, do adito alle chiacchiere, non riesco a tenere il mio cuore puro (che poi vuol dire guardare il mondo con occhi puri, di bambino, con occhi di chi vede tutto bello) non sono mai mai mai sereno. Quando mi abbandono, quando riesco a chiudere la porta e gli occhi e a dire “sarà quel che sarà, domani. Io faccio del mio meglio, il resto verrà da sè.” accade sempre che la giornata mi sorprende e che un senso di appagamento mi invade. Quello stesso senso di quando sei in spiaggia alle sette di sera, steso sul tuo lettino e guardi l’orizzonte pensando che niente in quel momento ti può succedere.

Ecco, io quello che sentivo da neonato non lo so ma immagino che fosse una cosa molto simile.

C’è una sola cosa che ancora non mi torna, Gesù, delle tue parole: come fanno a essere beati anche i sofferenti, i perseguitati e quelli che vengono insultati e trattati male?

Ci penso un po’ e mi pare che qui proprio ci sia tutta la tua grandezza: sarà pure l’amore a guarire, sarà l’amore a far star bene ma dove non arriva l’amore, arrivi tu.

Arrivi a consolare.

Arrivi a saziare.

Arrivi a dare ricompense nei cieli.

Ecco la promessa del regno dei cieli: la promessa di vivere per l’eternità come il bimbo con la testa appoggiata al petto della madre, gli occhi chiusi e il sorriso d’appagamento. Oppure come stare alle sette di sera sulla spiaggia sul lettino guardando l’orizzonte.

E mi pare una bella promessa.

Ed ecco perché “beato” è il gradino prima dell’essere santo: non perché ti manca qualcosa, ma perché è la condizione dell’anima di chi vive la santità.

Però, Gesù, che storia questa di oggi! Sono passato dalla convinzione che “beato te!” fosse una frase piena di invidia a capire che l’essere beato è una condizione dell’anima. E come sempre me lo insegni con batoste grosse ma anche come il più bravo dei padri, facendomici arrivare. Come? Beh, è semplice: prima mi fai capire che tutti i giorni faccio esperienza di quanto l’amore renda liberi e beati (“se ti sei sentito così in quell’occasione, perché non ti comporti sempre così?”) e poi, dove non arriviamo noi con le nostre forze, con la nostra umanità, intervieni tu, come ad anticipare le nostre domande (“ma perché Signore tanta sofferenza? ma cos’ha fatto di male quel povero uomo ammalato da anni?”).

E allora oggi, nella festa della santità, voglio impegnarmi per liberarmi dalle mie enormi zavorre e far entrare dentro di me l’aria di mare, quella delle sette di sera. E sentirmi beato.