Braccialetti Rossi. Una storia di storie.
Braccialetti Rossi. Una storia di storie.

Braccialetti Rossi. Una storia di storie.

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“…ho un braccialetto rosso anch’io.” Tra piscine che sembrano insormontabili, mali che non voglio abbandonare la scena e nuove amicizie, anche la seconda serie è quasi arrivata al termine. Ma come ci ha conquistato questa fiction? Qual è la sua forza? Io credo sia la verità. Ma non la verità dei fatti ma la verità dei sentimenti, delle sensazioni. Il racconto di un microcosmo, di un piccolo mondo nel quale le dinamiche, le relazioni e i legami che si creano ci fanno pensare ogni volta una cosa diversa: un giorno crediamo fortemente che la vita è sempre la stessa, scorre allo stesso modo dentro e fuori e i ruoli di ognuno di noi sono esattamente gli stessi; un altro giorno, invece, ci convinciamo che certe storie sono influenzate dal comune denominatore della malattia. Quello che è certo è che Braccialetti Rossi non ha paura di parlare di morte, di dolore, di futuro incerto, di vita, di difficoltà. E lo fa con chi di solito a tutto pensa tranne che potrebbe non esserci un domani: i ragazzi. Ragazzi ricoverati, chi per un banale incidente, chi per un tumore, ma tutti con un braccialetto rosso, segno dell’operazione ricevuta. Segno della forza e del coraggio che hanno e hanno avuto. E di quello di cui avranno bisogno per affrontare la malattia. La voglia di vivere è più forte di tutto. L’amicizia, anche. Lo spendersi per gli altri viene naturale la solidarietà è la normalità perché ci si riconosce. E con la loro forza i braccialetti saranno in grado anche di guarire le ferite degli adulti che gravitano attorno a loro, dalla dottoressa al padre superlavoratore.

Insomma Braccialetti Rossi è una storia di storie. E fino all’altro giorno ero convinta che la seconda serie fosse molto lacunosa, con tante cose per nulla vere, come TonyPortantino o la psicologa che si fa “ingannare” da Cris che vuole tornare in ospedale (!!). Poi però, chicchierando con mia madre, ho capito che probabilmente l’importante in questa storia non è la veridicità delle storie ma il malato, il suo stato d’animo, il suo modo di rapportarsi a quella strana routine, a quel pezzo della vita che in quel momento sembra essere l’unico mondo, tutta la vita. E magari ci si riconosce, si trovano le proprie fragilità in quelle di Vale o di Nina, la propria sensibilità in quella di Tony, la propria allegria in quella di Rocco o di Flam, la propria corazza in quella di Leo o del vecchio Davide, la propria insicurezza in quella di Cris o di Chicco o la propria immobilità in quella di Bea. Riconoscersi è il segreto per una buona comprensione. E comprendersi è il primo passo di ogni relazione. Sarà bene tenerlo a mente.

Watanca! E vediamo insieme, domenica, come va a finire! 😉